Che tra la Cina e il golf non fosse mai scoppiato l’amore lo si sapeva da tempo, ma le azioni intraprese dal governo comunista negli ultimi giorni hanno tutta l’aria di essere una vera e propria dichiarazione di guerra nei confronti dello ‘sport dei gentiluomini’.
Domenica scorsa la Cina ha annunciato l’imminente chiusura di 111 campi da golf considerati “illegali”, elencando diverse accuse tra cui l’uso improprio di aree protette e l’eccessivo sfruttamento delle falde per l’irrigazione. Il vero motivo per cui si sarebbero prese queste decisioni, però, potrebbe essere di altra natura.
Una pace impossibile: i rapporti tra la Nazione e il golf in effetti sono sempre stati complicati e altalenanti. Se non proprio da “sempre”, sicuramente lo sono da quando il Partito comunista di Mao Tse-tung ha preso le redini del Paese, disprezzando fin da subito il gioco, definito dallo stesso Mao “sport dei milionari”, e cercando di eliminarlo rendendolo illegale per gli iscritti al partito. Soltanto nell’Ottobre 2016 il golf è stato riammesso come passatempo per gli appassionati, e, proprio quando si pensava che i rapporti si stessero stabilizzando, negli ultimi giorni ha dovuto subire un altro durissimo colpo: non solo la chiusura dei 111 campi “illegali”, ma anche la minaccia di pesanti restrizioni su ulteriori 65 golf courses e in generale “l’invito” agli iscritti al partito a non calpestare il green.
Perché tanto odio?: la ragione di questa chiusura da parte del governo cinese è da ricercarsi, più che in argomentazioni di tipo ecologico-ambientale, certamente valide ma non esaustive, nei fondamenti stessi del pensiero comunista, che considera il golf come l’ostentazione di uno stile di vita agiato e altezzoso in contrasto con i bisogni e le condizioni della (maggior parte della) popolazione. Da qui deriva la concezione – non sempre errata – dei campi da gioco come strumento utilizzato da uomini d’affari e alti funzionari pubblici per la gestione dei loro traffici “poco trasparenti”. Una sorta di “fonte della corruzione” dell’alta società.
La risposta: una delle conseguenze più interessanti della diatriba Cina-golf, però, è che proprio da quando i campi di gioco sono stati dichiarati illegali la prima volta, nel 2004, il loro numero sul territorio cinese è triplicato. Gli appassionati spesso mascheravano i campi come “parchi” o “parchi divertimento” per ottenere l’approvazione delle autorità locali, per poi convertirli segretamente in veri e proprio campi da golf attrezzati. il Paese inoltre, nonostante le pressioni governative, vanta tutt’ora più di 10’000 giovani golfisti e ogni anno gestisce oltre 300 tornei di standard internazionale. Prova evidente che non tutta la popolazione nutre i medesimi sentimenti di sfida nei confronti dello “sport dei milionari”. Quanto ancora dovremo aspettare prima che i dirigenti del governo se ne accorgano?